Scrivere e dipingere sui muri della città: riflessioni
Editoriale n°10-11
La prima mostra personale di Jean-Michel Basquiat si tiene contemporaneamente presso la Annina Nosei Gallery di New York e alla Galleria Mazzoli di Modena, nel marzo del 1982. Due anni dopo, a Bologna, Francesca Alinovi organizza Arte di frontiera e uno dei protagonisti di quella mostra, Futura, nel 2000 dipingerà le pareti del Circolo More di Modena insieme a Delta e Mode 2. Sempre su invito di Sartoria e di Giorgio de Mitri, poi, questi tre artisti saranno affiancati da Os Gêmeos, Tom Sachs e Kostas Seremetis per la realizzazione di Kindergarten, nel 2011. E intanto, sui muri della città, gli organizzatori di Icone avranno fatto apparire opere di Blu, Honet, Herbert Baglione, Ericailcane e tanti altri, a volte prima che musei e gallerie private li scagionino dell’accusa di sporcare in giro.
Perché il successo della street art ha reso più indeterminati i confini tra l’atto vandalico e l’intervento sociale, la libera espressione artistica e i processi di reificazione. Da fenomeno di guerriglia simbolica e di abusivismo, vissuto perlopiù in clandestinità, l’estetica delle tag, degli stencil, dei poster e delle contraffazioni si è tramutata in una merce, divampando nella comunicazione pubblicitaria ed entrando al servizio dell’industria culturale. Le stesse istituzioni che l’hanno combattuta e criminalizzata, ora la vezzeggiano e ne colgono le opportunità, mobilitando una retorica della città creativa non meno mediatica e strumentale della città sicura che ne bandiva le manifestazioni.
Riflettere sulla street art significa allora addentrarsi in un territorio costellato dagli equivoci, in cui la vocazione critica e sovversiva dell’arte entra in risonanza con il dispiegamento dei grandi capitali, le strategie di branding, le tecnologie di governo e il conformismo. Ma è proprio questa esuberanza di significati, l’ambiguità e l’ironia che la rendono irriducibile a qualsiasi definizione di genere, a fare della street art un oggetto specifico degli studi culturali o di quella che Antonio Gramsci chiamava una «filosofia dell’atto impuro, cioè reale».
Con questo seminario, pertanto, il Campo della cultura della Fondazione Mario Del Monte propone una discussione sull’esperienza della città che si è definita e si rispecchia nelle forme parassitarie dell’arte abusiva, sulla strada non troppo ideale che collega il deposito di una stazione ferroviaria al centro del mondo in cui la controcultura viene battuta all’asta.
Durante il seminario è previsto l’intervento su un muro adiacente al teatro di Ozmo (www.ozmo.it). Le singole relazioni verranno inframezzate da video di: Blu (www.blublu.org), Eron (www.eron.it), Defumo (www.defumo.org), Voina (it.free-voina.org) e Nug.
Nella sala è allestita un’esposizione con le stampe, le magliette e i libri unici di Hiro Proshu, Davide Montorsi, Francesco Bevini, Marino Neri e Zamoc.!